Novella è molto giovane quando conosce Giuliano a Castel Bolognese dove si era trasferita e dove lavorava nel bar degli zii.
E’ il 1965, ha 15 anni, Giuliano 10 più di lei, vigile urbano nel piccolo paese, con una grande passione per il calcio. In breve tempo il fidanzamento e il progetto di sposarsi. Novella vedeva nel matrimonio la possibilità di avere finalmente un’autonomia e di soddisfare i sogni coltivati negli anni e resi impossibili dalle circostanze.
Il 27 agosto 1967 si sposano nella chiesa parrocchiale di San Potito e si stabiliscono a Castel Bolognese. Dal loro matrimonio nasceranno Paolo (1972), Chiara (1981) e Lucia (1991).
Così Novella descrive il suo ideale di vita e di famiglia: «Provenivamo entrambi da famiglie in cui il pane doveva essere guadagnato col sudore della fronte. Dalla realizzazione di quei sogni (mangiare un gelato intero da sola, comprarmi un vestito, una radio, una bicicletta, poi la casa, i mobili, l’auto, avere un conto in banca per il futuro dei nostri figli) mi aspettavo la felicità. (…) Ad un certo punto ci sembrò che il massimo della felicità fosse possedere una roulotte».
Ben presto, però, questa modalità di vita si incrina. Alcuni fatti dolorosi suscitano in Novella una grande inquietudine. Il 1 marzo 1969 morì una giovane zia lasciando il marito e due figli in tenera età. «Per un mese avevo vissuto accanto al suo letto d’ospedale a Padova, condividendone la lotta contro il male, la volontà di vivere e anche la sua rabbia e la sua disperazione all’idea di lasciare così giovane il marito, i figli, le cose, il mondo. Tornata a casa divenni inquieta e scontenta; iniziai a chiedermi a cosa valesse darsi da fare, organizzare la vita, se poi Qualcuno ce la porta via. Questo Qualcuno, di cui da molto tempo non mi curavo, divenne per me un nemico verso il quale provavo rabbia e ostilità».
«Iniziò un periodo in cui mi sentivo di nessuno, orfana. Mi venne meno la voglia di fare le cose, dal tenere in ordine la casa alla cura della mia persona. “La vita è tutta una fregatura” dicevo. E allora mi arrabbiavo con me stessa perché non ero capace di tirarmi fuori da questa situazione; forse se avessi studiato, pensavo tra me e me, avrei potuto farcela (…) mi ritrovai sola: materialmente avevo realizzato i miei sogni, ma mi sentivo irrimediabilmente profondamente delusa». Questa sua situazione interiore aveva messo in crisi anche il matrimonio: il marito, sconfortato, non sapeva come farla contenta.
Novella è inquieta, si sente malata e perciò trascorse anche un periodo in ospedale. Al momento delle dimissioni le fu consigliato un periodo di riposo in collina; sceglie un campeggio non troppo distante dal paese perché il marito non aveva le ferie.
Proprio in quello stesso campeggio qualche giorno dopo Novella vede arrivare una giovane coppia che aveva visto in occasione di una messa della comunità parrocchiale presso il monastero delle monache domenicane e decide di andare a cercarli. L’accoglienza ricevuta e la preghiera con loro segna – nel breve spazio di pochi minuti – una svolta imprevedibile della sua vita, una vera e propria rinascita.
In un’intervista Novella dirà: «La mia storia è cominciata così, perché quella mattina loro mi hanno accolta come se mi avessero conosciuta da sempre. Da quell’incontro ho capito che tutti al mondo abbiamo bisogno di essere accolti. Avevo sofferto molto e da quel giorno decisi di stare con chi soffre».
Quanto stava accadendo, aveva certo i caratteri dell’eccezionalità. Fu organizzata a Borgo Rivola una messa cui partecipò la comunità di Comunione e Liberazione della Vallata del Senio. In quell’occasione Novella pianse sempre, per la «coscienza che ero abbracciata e perdonata dal Signore nonostante che per molto tempo lo avessi dimenticato. Ebbi la certezza che tutto quello che stava accadendo era opera Sua. Sgorgò un profondo senso di gratitudine verso il Signore e il desiderio che la mia vita fosse riconoscente e che altri potessero fare lo stesso incontro che aveva liberato me dall’angoscia. Ero certa che quell’incontro era decisivo per ogni uomo e che ogni uomo ne avesse bisogno. Sapevo bene per esperienza personale come fosse drammatica la solitudine e quanto profondo fosse il bisogno dell’uomo».
Poco dopo il rientro dal campeggio, in occasione del decimo anniversario del loro matrimonio, l’arciprete di Castel Bolognese, don Giancarlo Cenni e don Sante Orsani, parroco di Borgo Rivola, celebrano la messa in casa loro: «la sala era invasa dagli amici della comunità. Fu in quell’occasione che Giuliano, in precedenza abbastanza prevenuto e critico, ebbe il primo momento di consapevolezza che quella storia era buona anche per lui perché rendeva più vera l’unità familiare alla quale aveva sempre tenuto in modo particolare. Quel gesto segnò il rinnovarsi del senso del nostro matrimonio e della vita della nostra famiglia».
«Il 22 maggio 1978 mattina (il giorno della Festa di Santa Rita, la santa delle cause “impossibili”), prese forma nella mia mente l’immagine di una casa grande, dove potere accogliere stabilmente dei bambini. Ebbi la viva percezione di un compito da svolgere tanto che uscii di casa come per identificare un luogo fisico», un sogno apparentemente impossibile per una casalinga sposata con un vigile urbano (a causa del loro basso reddito i due si vedranno respinta una domanda di adozione), subito affidato all’intercessione di santa Rita.
Già qualche mese prima Novella e Giuliano si erano resi disponibili a ospitare nel loro piccolo appartamento per brevi periodi prima un bambino, poi tre fratelli, e a prendersi cura delle persone bisognose che incontravano.
La sera del suo trentesimo compleanno rientrando dal Consiglio Pastorale parrocchiale, Novella trova all’ingresso del proprio condominio una donna in evidente stato di ubriachezza. La porta in casa e se ne prende cura per mesi fino alla morte per cirrosi epatica. È poi la volta di Pietro, un ragazzo sardo, ricoverato nell’ospedale di Castel Bolognese per una cura di disintossicazione dalla droga, che per tre anni Novella e Giuliano accolgono nel loro piccolo appartamento che diventa un punto di riferimento per giovani alle prese con un fenomeno che in quegli anni stava emergendo e che porterà Novella a conoscere il CeI.S. fino a diventarne operatrice.
Nel 1986, un altro fondamentale incontro per Novella e Giuliano.
Grazie ad Adele Tellarini, conoscono l’associazione Famiglie per l’Accoglienza. Ben presto Novella inizia a frequentare gli incontri che si svolgevano a Milano e matura con alcuni amici di Lugo e di Bologna l’esigenza di dare vita all’Associazione anche in Emilia- Romagna. E’ in quell’ambiente di amicizia che Novella e Giuliano possono esprimere il desiderio, sempre custodito, di cercare una casa più grande dove vivere la loro vocazione all’accoglienza. A loro volta quegli amici, colpiti e attratti dall’esperienza di Novella e Giuliano, manifestano il desiderio di potere contribuire alla sua realizzazione.
Il numero crescente di persone che si rivolgono loro per un aiuto rende urgente un luogo più grande dove accogliere. Anche un secondo appartamento preso in affitto è ben presto insufficiente.
Il 20 gennaio 1990 fu costituita l’Associazione San Giuseppe e Santa Rita per potere entrare in rapporto con istituzioni, enti, persone e promuovere attività volte a reperire i fondi necessari.
Il progetto trova il pieno sostegno del vescovo di Imola, monsignor Giuseppe Fabiani, il quale subito mostra un reale interesse e si adopera personalmente nella ricerca della casa. Più volte si aprirono trattative e si fecero progetti, più volte si fu sul punto di firmare un accordo che però per varie cause sfumò. Finalmente il sindaco del paese, che era stato molto colpito dall’impegno di questa famiglia a favore di giovani con problemi di tossicodipendenza indica un terreno di proprietà dell’Ente Sostentamento per il Clero della Diocesi di Faenza su cui sorgerà poi effettivamente la casa.
Il 19 marzo 1994, nella festa di San Giuseppe, monsignor Tarcisio Bertozzi, vescovo di Faenza, (la località, dove sorge la Casa di accoglienza è nel territorio della Diocesi di Faenza) posa la prima pietra e due anni dopo, il 17 marzo 1996, la Casa è inaugurata.
Nelle settimane successive Novella dice ad alcuni amici: «Forse a noi il Signore ha chiesto di costruirla e ad altri di portarla avanti. Se il Signore mi chiama io sono pronta ad andare da un’altra parte». L’8 maggio di quello stesso anno muore in un incidente stradale.
Al funerale partecipano oltre 2.500 persone. Gli amici in processione accompagnano Novella nel piccolo cimitero di Biancanigo, proprio di fronte alla casa.
La sera stessa della sua morte quel gruppo di amici che con lei e il marito Giuliano avevano costituito l’Associazione, incoraggiati anche dal sindaco del paese, decide di raccoglierne il testimone.
Novella sapeva dalla propria esperienza che «Si può guardare al futuro con certezza solo per un luogo. La gente è orfana, non sa di chi è, sembra che non abbia nessuno a cui appartenere. L’idea della casa è il desiderio di un luogo per noi, di un luogo che custodisca il nostro cuore, il nostro destino, la verità per cui siamo fatti, e consenta che anche altri uomini possano essere custoditi, che l’uomo del nostro tempo possa essere custodito e abbracciato e abbia la possibilità di fare l’esperienza di un amore gratuito».
Giuliano ha raggiunto Novella in Cielo 13 aprile del 2013.
Giuliano e Novella hanno desiderato « porre un segno, una luce, una porta aperta al bisogno di felicità di ogni uomo», hanno voluto anzitutto costruire prima che la casa di pietre una «casa di carne» dove la vita, per quanto ferita, potesse rinascere attraverso l’esperienza di un abbraccio misericordioso.
Il racconto della propria vita che Novella, fondatrice della Casa d’Accoglienza San Giuseppe e Santa Rita, dettò a un amico nell’estate 1992. Dall’incontro all’opera attraverso il dilatarsi del cuore.
La storia di Casa Novella inizia in un piccolo appartamento di Castel Bolognese, dove Novella e Giuliano Scardovi hanno cominciato a ospitare e accogliere.